Il tempo dell’inconscio sospeso tra Mythos e Loghia

Sia Mythos che Logos si possono tradurre col termine parola, ma con significati diversi, probabilmente opposti, per cui la parola mitologia  è un ossimoro.

Mythos è la parola dei racconti inventati della favola e della leggenda. Deriva dalla radice “mi”, ovvero  mandar suono, da qui deriva anche muggire.

Logos deriva dal greco légo che significa “dire” e traduce altri aspetti del parlare: scegliere, enumerare, legare, spiegare, definire. Si usa come suffisso per indicare misurazione, stima o studio di qualcosa.

I termini latini corrispondenti a logos sono ratio col significato di calcolo e oratio con il significato di discorso.

Il pensiero occidentale del VI secolo assiste a una biforcazione dal mitos al logos.

Nel VI secolo a.C. Eraclito fu il primo a usare il termine logos nel senso di “discorso”, attribuendogli i significati di "legge universale del cosmo" e al tempo stesso di "ragione". Socrate ne rivendica il valore razionale collocandolo alla base di costruzioni teoriche, usato successivamente per la Dialettica da Platone e per la Logica da Aristotele, e così via fino ai vari sviluppi della tecnica, del metodo scientifico e del positivismo.

Da allora le conoscenze saranno ordinate e normate dai vari loghia sui differenti aspetti della vita: biologia, meteorologia, geologia, teologia, genealogia, archeologia, sociologia, astrologia, etimologia, psicologia, etnologia, mitologia infine, una parola questa che fa pensare a un ossimoro, configurandosi come una parola composta da una coppia di opposti: la parola del logos per studiare, contenere, analizzare le parole del mito fatte di racconti magici simbolici e metaforici.

Il logos con le sue leggi e ragionamenti scientifici, sembra rimandare alla forza di una legge e della parola del padre, un movimento verticale, forte, deduttivo, ponderato.

La certezza dei numeri, della geometria e delle teorie filosofiche dell’Ellade. Ratio in tal senso significa estrarre radici dei numeri e delle verità, per conoscere ogni cosa. Il logos rimanda quindi all’orizzonte matematico, dialettico, filosofico, speculativo.

Dall’atra parte il mito sembra piuttosto rimandare all’universo femminile e materno, come la stessa consonante in comune suggerisce, la m, una consonante labiale umida come il contatto delle labbra necessario per produrla. Una suggestione orizzontale come un abbraccio, se vogliamo immaginarla in termini geometrici-spaziali. Un universo simbolico vasto, come il mare, che tanti parallelismi ha in psicoanalisi con la madre. (Ferenczy, Thalassa)

“Perché c’è bisogno del mito? Ad esso ci rivolgiamo per comprendere ciò che la nostra logica non afferra, per essere illuminati e ispirati da un altro sapere, istintivo, originario, apparentemente ingenuo, più vicino al processo primario e alle fonti dello psichico. Parlando del femminile non si può fare a meno del mito....Il mito appare una buona metafora della rappresentazione del femminile e della sua trasformazione da erotico a materno, caratterizzata dal dispiegarsi all’interno di una stabilità e di un ancoraggio, che si alimenta di relazionalità e di cura e che viene sostenuta dalla capacità di unire” (La Torre D., Luoghi e non luoghi del femminile, 2011, Centro di Psicoanalisi di Palermo)

La parola del mito unisce e crea legami, rammenda storie impastando elementi personali e collettivi, interni ed esterni, collocandoci in uno stato di reverie contenitiva e trasformativa.

Il mito come il sogno permette di vedere a occhi chiusi....non è un caso che alcuni personaggi importanti fossero ciechi: Tiresia, Edipo...

“La similarità e le concordanze tra sogno e mito sono state studiate in un lavoro ormai classico di K. Abraham del 1909. La sua osservazione più interessante riguarda i fenomeni di spostamento e condensazione, assolutamente identici sia nel sogno che nel mito” (Corrao F., Modelli psicoanalitici, Mito, Passione, Memoria, 1992, Laterza, Bari).

La similarità tra il sogno e il mito ci autorizza a equiparare l’esperienza del mito all’attività onirica e le parole dei testi che ci sono giunti ai ricordi di copertura del sogno?

Mithos e logos rimandando a due logiche differenti, simmetrica e asimmetrica.

“Secondo Matte Blanco, nella mente coesistono due modalità strutturalmente opposte di pensare ed essere, ma che cooperano in varie forme di “bi-modalità...due logiche contrapposte che poggiano l’una sull’altra” Alberto Siracusano pag 43

“La logica asimmetrica basata sulla logica bivalente o aristotelica, tipica del pensiero scientifico. Esempio: se la relazione tra A e B è che A è più piccolo di B, l’inverso è che B è più grande di A (...) nel sistema inconscio, dove vige il principio di simmetria (..) ogni relazione (..) è identica al suo inverso. Quindi se A è più piccolo di B, B è più piccolo di A” Francesco siracusano pag. 32.

Il mito, come il sogno e l’inconscio hanno una logica differente, nella quale elementi scomposti e sovrapposti, si ricompongono a servizio delle esigenze pulsionali, prescindendo dalle esigenze della logiche aristoteliche e cartesiane collocate in assi spazio-temporali certi.

Il mito ci avvicina a una la logica altra, la logica dell’inconscio atemporale nella quella appaiono riduttivi ed inadeguati gli argini dei principi di non contraddizione e del terzo escluso. Si tratta di una sconfitta per la  ragione e la scienza. 

Il mito “trasposizione esterna di immagini primordiali” (A. Siracusano, pag. 54) si muove e ci fa muovere nella logica simmetrica, tipica dell’inconscio, espressa dalla funzione alfa negli stati di attività onirica del sonno e della veglia, dove gli opposti si avvicinano a volte fino a coincidere.

Una parola composta da una coppia di opposti che fa pensare ad altre antinomie del funzionamento psichico riportate da Freud ne libro “sul significato opposto delle parole primordiali” (1910). Secondo il glottologo K. Abel nelle radici più antiche si può osservare il fenomeno del duplice significato antitetico. Nella lingua egizia un’unica parola poteva essere usata con un significato ma anche con il suo opposto: una parola poteva significare tanto forte che debole, un’altra giovane e vecchio. Il latino altus conduce al significato di alto, ma anche a quello di profondo, sacer significa sia sacro che sacrilego.

Freud nota il parallelismo tra il linguaggio più antico e la comunicazione che compare nel sogno, per cui “nel sogno una cosa può significare il suo contrario”. Anche nel sogno una immagine o una parola possono rimandare a due significati opposti.

Negli abissi dell’Inconscio come insiemi infiniti le differenze si assottigliano fino al punto di scomparire. Più scendiamo in profondità più le classi si avvicinano fino a far coincidere gli opposti, come nel caso delle coincidenze tra classi animali e umane di cui abbiamo traccia linguaggio comune:

muto come un pesce
solo con un cane
schifoso come un porco
testardo come un mulo
più duro del polpo (nel dialetto siciliano)
fastidioso come una zecca
vuota come una gallina
infedele, competitivo o prepotente come gallo
con i paraocchi come un cavallo, non si ferma mail fino a crollare
pigri come cicale
operosi come formiche
le orecchie d’asino per gli ignoranti o svogliati
forte come un toro
pesante come un elefante
veloce come una gazzella
la lingua di serpente dell’invidia
velenosi come le vipere
l’occhio di lince
il passo felpato della tigre
l’astuzia di una volpe
il disprezzo per i topi di fogna

Le metamorfosi tra uomo e animale o parti di animali è tipico del mito e delle bi-logica, la Sfinge ne rappresenta un’espressione abbastanza eloquente.

Il mito permette di esprimere e rappresentare gli aspetti opposti e contrastanti presenti contemporaneamente nella nostra vita: il principio di vita e il principio di morte freudiano, odi et amo di Catullo, l’eccesso o l’ambivalenza di cure materne che diventano schizofrenogene; la copresenza di apollineo e dionisiaco, il limite delle regole del setting e le risonanze inconsce del lavoro di analisi. La possibilità di immergersi nella dimensione simmetrica dell’inconscio, protetti ed equipaggiati dagli aspetti asimmetrici delle acquisizioni teoriche psicoanalitiche. Il lavoro di analisi è etimologicamente sciogliere, un processo lento, continuo, frammentato [...] Deve essere però chiaro che l’essere simmetrico non è conscio e che per la natura della coscienza umana non può mai diventare conscio. Se la coscienza fosse infinita l’essere simmetrico potrebbe diventare conscio [...] poiché la coscienza è finita, finiranno per entrarvi solo poche dimensioni dell’essere simmetrico [...] in breve rendere conscio l’inconscio è una sorta di inganno. Esso equivale a cogliere pochi pezzi di una realtà ineffabile e cercare di imitarla [...] quel che la coscienza interpreta della natura dell’essere simmetrico è simile alle onde che bagnano la spiaggia; quando la coscienza cerca di leggere l’essere simmetrico, gran parte di questo essere simmetrico resta fuori della coscienza come la gran massa dell’oceano resta fuori dalla spiaggia [...] poiché la simmetria è sempre avvolta da asimmetria qualcosa dell’essere simmetrico appare direttamente alla coscienza. Molto del nostro lavoro analitico terapeutico consiste, in effetti, nel far vedere al paziente che, al di là dei significati che egli vede [...] ve ne sono altri analoghi che non ha afferrato. Il lavoro analitico tende di fatti a svelare significati e connessioni che appartengono alla stessa classe di quelli che sono chiaramente visibili [...] (Matte Blanco, L’Inconscio come insiemi infiniti).

Interconnessi tra loro, mito e logos, uniscono e separano cuore e ragione, logica simmetrica e asimmetrica, offrendo una visione bifocale che permette di trasformare le immagini in parole e le parole in immagini, allentando gli argini del logos per immergersi nelle profondità del mito e risalire cercando, come dopo un sogno o una fantasia, di separare elementi assimilati riorganizzandoli in pensabilità.

Un lavoro simile a quello fatto dalla storia, con la sua interpretazione storico-critica, in rapporto sia ai fatti attuali, spesso caotici e multiformi, che soprattutto in rapporto alla preistoria, verso la quale abbiamo quanto meno un debito di disattenzione e trascuratezza.

La nascita della storia, dovuta all’imposizione dell’interpretazione sul fatto, può essere associata all’emergere di un logos appropriato? 

Il mito può essere considerato una preistoria feconda del pensiero logico-matematico e successivamente tecnico-scientifico imperante?

Sia il logos che l’interpretazione di un fatto storico impone una netta demarcazione tra il prima e il dopo, stabilendo verità logico-razionali e storiche di cui abbiamo bisogno per orientarci.

Mi chiedo in che rapporto stiano le parole dei vari loghia con ciò che definiscono. Quanto ne inglobano? Modificano? snaturano? Quanto inevitabilmente si perde degli aspetti vitali e originari?  Come nei ricordi di copertura, o nella narrazione del sogno, il pensiero blinda ogni movimento che turbi una parvenza di accettabilità. Pennellando versioni inevitabilmente parziali, oscillando tra il fatto e il racconto, l’evento e l’interpretazione, l’emozione e la descrizione.

Ci sforziamo di conoscere e usare teorie e tecniche per entrare in contatto con qualcosa di atavico, preistorico, insondabile, inconoscibile (O) in attesa di un qualcosa di più grande che sfugge alla ragione: attenzione fluttuante, fatto scelto, intuizione bioniana, la capacità negativa oscillando senza memoria, desiderio e comprensione.

Nell’inconscio come sistema infinito aspetti contrastanti e opposti coincidono in una logica che sfugge alla ragione. Armati di Loghia sufficientemente buoni cerchiamo alla cieca di incontrare il mistero, perturbante, lo straniero che abita in noi (Freud Vie della terapia psicoanalitica)

Il setting ci permette di collocarci in  modo apollineo per conoscere e contenere gli aspetti dionisiaci, selvaggi e terrorizzanti delle profondità della psiche.

La mitologia ci offre strumenti per conoscere e incontrare il proprio mito personale e familiare, fatto di storie comuni agli uomini di latitudini ed epoche diverse. Racconti originari che rimandano a universi simbolici archetipici. Nel mito è possibile recuperare un contatto con dimensioni originarie, arcaiche e universali di sé e dell’umanità, come temi ricorrenti presenti in culture e epoche notevolmente distanti tra loro nello spazio e nel tempo.

“Wilfred Ruprecht Bion ha insistito molto sull’uso del mito come modello atto alla investigazione o costruzione cognitiva. Egli distingue tra mito personale e privato e mito collettivo, gruppale o pubblico” (Corrao, Modelli psicoanalitici, Mito, Passione, Memoria, 1992, Laterza, Bari).

Oltre a dirci chi siamo e da dove veniamo, il mito mostra ciò che si può diventare, permettendoci di conquistare nuovi territori di consapevolezza.

Il mito diventa polifonia di vertici osservativi che conferisce uno statuto di veridicità al possibile come anche all’assurdo, all’illogico, all’impossibile e conduce il pensiero in uno spazio non euclideo, in un tempo che è già stato e che tuttavia deve ancora venire” (Sapienza S., Tenerini A., Freud, Bion, Matte Blanco, Corrao e l’arco di Filottete, Armando, Roma, pag. 22)

Il mito ci porta al di là, altrove, in un prima originario e condiviso, ma che è già anche un dopo appena lo si percepisce, ma che rivive in un passato non ancora accaduto, in una dimensione atemporale dove il futuro è memoria, dove il il passato che non è ancora passato, aprendo infinite possibilità:“T. S. Eliot (1919) - osserva Ogden, (Vite non vissute) – scrive che il passato è sempre parte del presente, un “presente” che egli chiama “presente del passato” (p.14).  Il presente del passato, per uno scrittore, è un’esperienza del tempo presente che contiene l’intera storia della letteratura – una storia “non di ciò che è morto, ma di ciò che, fin prima di lui, è vivo” (ibidem). Analogamente, nella seduta analitica, il presente che analista e paziente vivono non è un presente che si contrappone a un passato che non esiste più; piuttosto il passato nella sa interezza è vivo nel momento presente dell’esperienza analitica. Da questo punto di vista l’analista non sacrifica nulla respingendo la memoria. “Il passato non è morto, non è neppure ancora passato” (Faulkner, 1950, atto I, scena 3) (Ogden, pag.83)

“Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà. Non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Ecclesiaste 1,9)

“Nulla accade perché tutto è già accaduto e nulla si racconta perché tutto è stato raccontato” ci ricorda Sapienza che è scritto a Butroto, in Albania, dove si pensa si trovi la tomba di Omero (Sapienza S., Di Lello C., La culla delle parole in psicoanalisi, 2014, Ed. Magi, Roma).

Il mito è una storia che si ripete con mitologhemi  rintracciabili in epoche e culture differenti. “Una prima definizione di mitologhema lo descrive come un motivo, un frammento o meglio come l’unità minima significante di un mito” (Neri C.,  Introduzione a Orme, VOl. II)

“Gli elementi così isolati possono essere considerati mitologhemi su cui operare” (Bion, elementi della psicoanalisi)

 “Claude Lèvi-Strauss propone di trovare, nelle diverse edizioni del mito, i personaggi, gli elementi, le azioni che svolgono una funzione equivalente. Egli definisce queste unità invarianti mitemi. Franco Fornari definisce Koinema l’unità affettiva relazionale elementare: amore, odio, ecc” (Neri C.,  Introduzione a Orme, VOl. II, pag. XIV)

“L’uso dei modelli mitologici per l’esplorazione psicologia – conviene ribadirlo – si conferma efficace nella misura in cui assume come referente costante l’uomo nella sua interiorità e complessità ed impiega correlativamente per l’indagine dispositivi strutturali complessi quali i miti; che sono appunto <<opere>> (nel senso di I. Meyerson)  <<fatti>> (nel senso di G.B. Vico)  <<costruzioni>> (nel senso di Freud)”.  (Corrao, pag. 35)

“Il riferimento a mèros (parte), sollecita alcune considerazioni sul rapporto tutto-parte per le quali appaiono utili alcune assunzioni di K. hubner (1990). “Nel mito – afferma questi – scompare la differenza tra il tutto e la parte”. Il tutto, nel mito, è funzione della parte. Ciò implica che alla base del processo di generazione non sta una separazione da una sostanza originaria, ma una mescolanza. Come ad esempio, vi  è una mescolanza di sostanza terrena e celeste nei Titani e negli dei generati da Gea e da Urano. Nel mito, peraltro, le parti sono funzioni del tutto...La dialettica delle parti e del tutto può dare un certo sostegno al metodo analitico della scomposizione...che ha il vantaggio di riferirsi alla complessità mitica secondo vettori abbastanza semplici e intuitivi” (Corrao, pag. 48, 49, 50).

Quali movimenti inconsci nella catarsi di tragedie personali e collettive o nell’esaltazione eroica della conquista? Il mito è una storia che si ripete, probabilmente di ciò che non si ricorda o di cui non si ha consapevolezza; è possibile osare un parallelismo col celebre scritto di Freud ricordare, ripetere, rielaborare? (1914). Ripetizioni di comportamenti agiti, spesso con conseguenze tragiche, che nel mito trovano una forma di rappresentazione ed espressione personale e di gruppo?

Mi riferisco alla funzione terapeutica del coro, di un gruppo che elabora, consola, sostiene come nell’Eracle di Euripide. Una funzione simile ai “garanti metasociali e metacognitivi” di cui kaes fa notare il crollo?

Conoscenza trasformativa del mito da –K a K, attraverso le “ragioni del cuore che la ragione non conosce”, vivendo la passione di cui la ragione è schiava (“La ragione è schiava delle passioni”...), Una conoscenza frutto di un legame, di una relazione con ciò che si conosce che ha delle conseguenze, modificandoci. Una relazione che ingloba aspetti sensoriali e fisici in chi conosce, sia secondo la tradizione ebraica del conoscere espressa nella Bibbia, che secondo il pensiero greco, espresso così da Calasso:[...] Il corpo delle ninfe era il luogo stesso di una conoscenza terribile, perché al tempo stesso salvatrice e funesta: la conoscenza attraverso la possessione. Una conoscenza che dà la chiaroveggenza, ma può anche consegnare chi la pratica a una peculiare follia. Il paradiso della Ninfa è questo: possederla significa essere posseduti. E da una forza soverchiante. Scrive Porfiro che Apollo ricevette dalle Ninfe il dono delle <<acque mentali>>. Ninfa sarebbe allora il nome cifrato della materia mentale che fa agire e che subisce l’incantamento. Chi si immerge in quelle acque è chiamato nymphóleptos [...] Il delirio suscitato dalle Ninfe nasce dunque dall’acqua e dal un corpo che ne emerge, così come l’immagine mentale affiora dal continuo della coscienza. [...] la guarigione scaturisce dallo stesso delirio, secondo un proverbio nato come oracolo pronunciato da Apollo per Tefolo [...] colui che ha ferito guarirà [...] (Calasso R., La follia che viene dalle Ninfe, Adelphi, Milano, 2005)

La conoscenza clinica dolorosa e lenitiva, accogliente e severa, che scioglie e lega: un pharmacon [...] giovevole ma anche malefico, rimedio, salutare, funesto, veleno, bevanda magica, tintura, coloro, alimento, filtro per incantare. Come si può evincere esso è un termine che esprime e contiene una significativa reversibilità tematica. (Raniolo G., Sapienza S., Riflessioni psicoanalitiche: contagio e Pharmakos nel gruppo, in Sinossi periodica, Catania, 2002/1.)

Aspetti diversi, contrastanti e contradditori che si rivestono di significati in ottica bilogica, nella quale il mito, come il sogno e la psicoanalisi, incontrano le oscillazioni inconsce dell’emozione, in una continua trasformazione di immagini in parole e viceversa.

Bibliografia

 

Bion W. R., Gli elementi della psicoanalisi, Armando Editore, Roma.       
Calasso R., La follia che viene dalle Ninfe, Adelphi, Milano, 2005
Corrao F., Modelli psicoanalitici, Mito, Passione, Memoria, 1992, Laterza, Bari
Ferenczy S., Thalassa, Raffaello Cortina, Milano.
Freud S., (1910) Sul significato opposto delle parole primordiali, Opere Vol. VI
Freud S., (1914) Ricordare, Ripetere, Rielaborare, in Nuovi consigli sulla tecnica psicoanalitica, tr. it. In Opere, Vol VII.
Kaes R., (2005), Il disagio del mondo moderno e la sofferenza del nostro tempo, in Psiche 2005, 2, Il saggiatore, Milano.
La Torre D., Luoghi e non luoghi del femminile, 2011, Centro di Psicoanalisi di Palermo
Matte Blanco I., L’inconscio come insiemi infiniti, Einaudi, Milano.
Neri C.,  Introduzione in Corrao F., Orme, VOl. II, Raffaello Cortina, Milano.
Ogden T., Vite non vissute, Raffaello Cortina, Milano.
Raniolo G., Sapienza S., Riflessioni psicoanalitiche: contagio e Pharmakos nel gruppo, in Sinossi periodica, Catania, 2002/1.
Sapienza S., Di Lello C., La culla delle parole in psicoanalisi, 2014, Ed. Magi, Roma
Sapienza S., Tenerini A., Freud, Bion, Matte Blanco, Corrao e l’arco di Filottete, Armando, Roma.
Siracusano A., Bi-Logica del reato, in Dinamiche psicologiche nell’azione giuridica: interpretazione e bi-logica, Catania, 14 Marzo 2003, Atti del Convegno.
Siracusano F., Introduzione alla Bi-Logica di Matte Blanco, in Dinamiche psicologiche nell’azione giuridica: interpretazione e bi-logica, Catania, 14 Marzo 2003, Atti del Convegno.

 

Presentato ai Seminari Multipli di Roma nell’anno 2018/sezione gruppi e pubblicato nella rivista Koinos (Ed. Magi) dello stesso anno.


Dr. S. Cattano


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Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Regione Sicilia col n. 5508 dal 24/05/2010, laurea specialistica in Psicologia.

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Ultima modifica: 23/05/2016